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Molteplici storie

Raccontare il Santuario di Lovere
è narrare molteplici storie,
le une intrecciate alle altre.

Prima pietra del santuario di Lovere

Prima pietra del Santuario

- STORIA DELLE SANTE -

Raccontare il Santuario di Lovere è narrare molteplici storie.

È infatti la storia di due donne attratte dalla carità di Gesù: Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa.

È la storia di un progettista, monsignor Spirito Maria Chiappetta, che ha impiegato dieci anni di vita per portare a termine l’opera. È la storia di tanti artisti che hanno lasciato il loro segno con affreschi e mosaici sulle pareti. Ed è soprattutto la storia dell'Istituto di Lovere.

Affresco di Bartolomea Capitanio mentre insegna alle bambine
Affresco di Vincenza Gerosa mentre soccorre una povera donna

L’impresa prese avvio da una data significativa per Lovere, il 30 maggio 1926, giorno di festa per la beatificazione di Bartolomea Capitanio. L’evento coinvolse tutta la città e i dintorni del lago di Iseo. In occasione di tale celebrazione, le suore della Carità decisero di creare un luogo degno per poter venerare la Beata Capitanio, in attesa che anche Vincenza Gerosa venisse beatificata, come di fatto avvenne nel 1933.

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Se vuoi approfondire la storia delle sante 

foto vecchia del Conventino di Lovere

Un santuario che avrebbe dovuto corrispondere anche ai desideri della stessa Bartolomea, che in vita aveva sperato di poter disporre di una chiesina dove potesse essere conservata la presenza eucaristica di Gesù. Infatti fu costruita una piccola cappella adiacente alla Casa Gaia, oggi più comunemente nota come “Conventino”, che nel 1926 risultava ormai inadatta ad accogliere le folle di pellegrini.

In prossimità delle celebrazioni nei circoli femminili di Lovere si era diffusa la voce che si volessero trafugare le spoglie della Capitanio per trasferirle nella Casa generalizia di Milano. Il timore che serpeggiava da tempo nella popolazione si era acuito all'arrivo al Conventino di una commissione della curia di Brescia incaricata di procedere all'ultima ricognizione delle ossa e di prelevare le reliquie necessarie per il culto, dopo la beatificazione. L'8 aprile 1926, sotto una pioggia dirotta, si formò per ben due volte davanti al Conventino un assembramento, di donne soprattutto, che richiese l'intervento delle autorità civili. La stessa superiora suor Domenica Marchesan, dovette affacciarsi ripetutamente alla finestra assicurando che le spoglie della Capitanio sarebbero rimaste a Lovere. Alla protesta seguì l'invio di una commissione al vescovo di Brescia e di una lettera scritta in nome di tutta la popolazione. La notizia apparve subito sui vari giornali.

(M. Carraro – A. Mascotti, L’Istituto delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, vol II, nota 29, p. 102)

foto vecchia di una processione con l'urna di Bartolomea Capitanio

- PRESENTAZIONE DEL SANTUARIO -

Nello scegliere l’architetto che avrebbe innalzato il santuario, la Congregazione si affidò un progettista di comprovata fede: Spirito Maria Chiappetta (1868-1948). 
Non era infatti solo un ingegnere ma era anche un sacerdote; aveva indossato per la prima volta la veste a 54 anni, nel 1924, e due anni dopo Papa Pio XI lo aveva chiamato in Vaticano a dirigere l’Ufficio per la progettazione delle case parrocchiali d’Italia. Di lì a poco la sua fama si sarebbe ulteriormente accresciuta, con la nomina nel 1929 a
presidente della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia
Si trattava dunque di una delle personalità dell’arte sacra più in vista del suo tempo.

Spirito Maria Chiappetta si occupò solamente di architettura sacra, unendo un’eccezionale capacità disegnativa con una forte fede e vocazione religiosa, condivisa da molti familiari. 

La sorella, Anna Maria, era stata accolta proprio a Lovere nel convento delle Clarisse.

Non è dunque un caso che proprio a Lovere abbia lasciato una delle sue opere più grandiose, dove ogni dettaglio è stato ideato sotto la sua scrupolosa direzione. 

La costruzione del Santuario fu però anche un’ardua scommessa, visto il terreno gessoso e ricco di acqua su cui poggiano le fondamenta; molti abitanti e cronisti locali erano convinti che non si sarebbe mai alzata alcuna colonna.

 

Per approfondire guarda il video:

"Il miracolo della tecnica 2.0"

- ARTE DEL SANTUARIO -

Nonostante le difficoltà per le fondamenta del Santuario, i lavori riuscirono a partire e ben presto i cittadini videro stagliarsi nel cielo di Lovere la sagoma gotica del campanile. La facciata, sormontata dalla torre nolare, è posizionata perpendicolarmente, alla direzione interna del tempio, costituita dall’asse che parte dalla primitiva cappella di Casa Gaia e giunge all’altare.

L’interno, pur di ridotte dimensioni, risulta estremamente dinamico, grazie alla decorazione che ricopre ogni centimetro dell’edificio. Il fedele, entrando, percepisce un movimento ascendente che lo spinge ad alzare lo sguardo verso la volta, immagine del paradiso, dominata dall’Agnus Dei da cui si diparte lo Spirito Santo.

Una serie di angeli innalzano lodi a Dio e alla Vergine, come rivelano i vari cartigli. 
Allo stesso tempo un movimento opposto, scandito dalla teoria di Vergini e Martiri in cammino, spinge lo sguardo verso l’altare e i corpi delle Sante.

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Il Santuario si pone quindi come esaltazione della vita delle Capitanio e Gerosa, e preghiera dipinta, innalzata in onore di Cristo Re dei Vergini e della Vergine stessa. Lungo i costoloni delle volte, centinaia di clipei racchiudono i simboli mariani, a solenne lode a Maria Vergine. Ogni dettaglio è simbolico, parte di un complesso programma catechetico-mistagogico, pensato minutamente e organizzato su più registri di lettura.

Cristo re dei vergini affresco santuario di Lovere

Cristo re dei Vergini

Nella parte più alta delle pareti tre grandi affreschi celebrano la vita delle sante loveresi. 
Nei pressi dell’organo, Cristo e gli angeli benedicono e sovrintendono alle opere di carità: l’assistenza agli infermi e ai fanciulli. Sulle pareti laterali, sono collocati due momenti luttuosi: la scomparsa di Bartolomea Capitanio, alla presenza di don Angelo Bosio, di Caterina e dei bambini, e la predizione di Gerosa a una consorella dell’imminente trapasso.

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A realizzare gli affreschi e l’intera decorazione furono una serie di artisti bergamaschi, appartenenti alla “scuola” del pittore Fermo Taragni (1871-1948). 
Tra essi si distinguono i pennelli di Pasquale Arzuffi (1897-1965), autore dei tre grandi affreschi sulla vita delle sante e Umberto Marigliani (1885-1960), a cui spettò la realizzazione della teoria delle Vergini e delle Martiri.

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Fu lo stesso Spirito Maria Chiappetta ad affidare l’incarico a Taragni e ai suoi collaboratori, coi quali era attivo un sodalizio artistico, che li portò a lavorare in molti altri cantieri.
Gli autori dunque della magnifica decorazione di Lovere non erano pittori marginali, bensì protagonisti del sistema dell’arte sacra della prima metà del secolo scorso.

balaustra bronzea santuario di lovere

Abbassando lo sguardo ai registri più bassi, si notano le specchiature bronzee delle balaustre, plasmate dalla celebre fonderia milanese MAF, punto di riferimento per molti artisti del Novecento. 

I soggetti scelti derivano dal repertorio iconografico paleocristiano: il Buon Pastore, i pavoni che si abbeverano al cantaro, i cervi alla fonte e la nave della Chiesa che solca un mare in tempesta. 
Si tratta di una simbologia di facile comprensione, con evidenti richiami alla Salvezza e alla sua fonte.

Nella parte inferiore delle pareti, lo sguardo del fedele si incrocia con quello delle Sante e Martiri in cammino verso Cristo, riconoscibili grazie ai segni del martirio o ai simboli tramandati dalla tradizione agiografica. È un corteo tutto al femminile, che si muove in uno scenario tanto semplice quanto esotico, connotato dalle palme, simbolo per eccellenza del martirio cristiano e dai gigli bianchi, a esprimere la verginità e la purezza delle protagoniste. Sante antiche camminano al fianco di sante recenti, quali Teresina di Lisieux o Bernadette di Lourdes, sante care alla fede del nord Italia, ad esempio Marcellina, si affiancano alle celebri sante del Sud, come Rosalia di Palermo.

Nella parte inferiore delle pareti, lo sguardo del fedele si incrocia con quello delle Sante e Martiri in cammino verso Cristo, riconoscibili grazie ai segni del martirio o ai simboli tramandati dalla tradizione agiografica. È un corteo tutto al femminile, che si muove in uno scenario tanto semplice quanto esotico, connotato dalle palme, simbolo per eccellenza del martirio cristiano e dai gigli bianchi, a esprimere la verginità e la purezza delle protagoniste. Sante antiche camminano al fianco di sante moderne, quali Teresina di Lisieux o Bernadette di Lourdes, sante care alla fede del nord Italia, ad esempio Marcellina, si affiancano alle celebri sante del Sud, come Rosalia di Palermo.

Viene raffigurata così l’universalità della fede e della Chiesa, di cui Bartolomea e Vincenza sono tra le più recenti testimoni. La loro meta è l’altare, che custodisce l’Eucarestia, a cui si ricollegano i due grande affreschi, 
delle Nozze di Cana e della Distribuzione dei pani
dipinti da Giovanni Marigliani. Lì, Capitanio e Gerosa vengono incoronate da Cristo, sotto il compiaciuto sguardo di quelle Vergini e Martiri che costituirono il modello della loro esistenza terrena.

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Medesima universalità si riscontra nelle vetrate che ritraggono i patroni delle aree geografiche in cui la Congregazione della Carità si era espansa nei primi cento anni di storia.

Le vetrate sono opera di due maestri vetrai: Costantino Grondona (1891-1939), attivo a Cusano Milanino, per l’ambulacro e le absidi, e il romano Cesare Giuliani (1882-1954), per i matronei. 

Sono opere di grande maestria tecnica e figurativa, che esemplificano il più alto artigianato artistico di inizio secolo.

marmi santuario lovere

Di notevole qualità sono inoltre i ferri battuti e le opere in marmo. Il Santuario si offre come un campionario di decine e decine di marmi in uso a quel tempo, provenienti dall’Italia e da tutto il bacino del Mediterraneo.  Ancora una volta la più alta qualità dei materiali si unisce alla sapienza bergamasca della lavorazione, con l’intervento dei marmisti Remuzzi, tuttora attivi nel settore.

Da non trascurare sono infine le opere a mosaico della Scuola Vaticana, sulle cui tessere scivola la luce dorata proveniente dalle vetrate. Sulle quattro colonne sono rappresentate le vergini stolte e le vergini sagge, protagoniste di una parabola del vangelo di Matteo.

A coronamento delle colonne, vi sono quattro capitelli disegnati dallo stesso Spirito Maria Chiappetta, arricchiti dal simbolismo degli elementi vegetali; le spighe e l’uva, simbolo dell’Eucarestia, dialogano con i gigli e la rosa, simboli delle due Sante; la passiflora e l’edera richiamano alla mente il tormento della Passione, mentre la quercia e l’alloro rammentano la resurrezione e la speranza nella vera fede.

capitello santuario lovere

Nelle absidi laterali sono venerate le reliquie delle sante, a sinistra Bartolomea e a destra Vincenza. Al centro l’altare maggiore accoglie nel paliotto un rilievo con la Deposizione di Cristo, eseguito su modello di Giovanni Manzoni come il Crocifisso e il fregio del dossale con una schiera di Angeli adoranti.

 

Ma qual è lo stile di un tale luogo, ricco di arte?

Qualcuno ha giustamente affermato che monsignor Chiappetta ha unito il romanico col gotico, il mozarabico col bizantino. Siamo infatti nell’epoca dell’eclettismo.

Vi sono richiami ai preraffaelliti inglesi, al simbolismo francese, ai pittori nazareni, allo stile floreale d’inizio secolo.  

L’arte di Lovere può così accostarsi ai più noti cantieri di Lourdes, Montecassino, Loreto. 
L’eclettismo del Santuario è senza dubbio tra le ultime e più notevoli testimonianze di quella cultura accademica ottocentesca, ancorata alla tradizione, ma basata su una finissima capacità disegnativa e artigianale, che pochi anni dopo sarebbe scomparsa o mutata in altre forme.

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Il Santuario venne consacrato da mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia, il 1° ottobre 1938.


Bartolomea e Vincenza furono canonizzate entrambe da Papa Pio XII il 18 maggio 1950.

Da allora sono le patrone di Lovere.

Le Suore di Carità, custodi del Santuario, sono diffuse in tutto il mondo e sono conosciute anche come Suore di Maria BambinaNell'antica cappella è presente una statua di cera della Madonna infante.

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Per saperne di più: 
"Il tempio di Lovere consacrato a Cristo Re dei vergini in onore delle Beate Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa", 
Venezia 1938

Fappani A., "S. Giovanni Battista in Monte Cala, in A. Fappani, Santuari nel bresciano, vol. V, Brescia 1983, pp. 114-122

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